Let’s be clear: Mike knows from the get-go that it’s a stupid fucking idea. He just doesn’t know if that makes it better or worse.

The kid gets called up to the Oilers when Steinberg breaks his foot halfway through the season. And he is a kid: eighteen, baby-faced, smaller than everyone else on the roster at 5’8” and clearly determined to make up for it. He introduces himself to Mike before his first game with an outstretched hand and a shit-eating grin, radiating that specific kind of confidence that teenage boys the world over seem to have: cockiness overlaying self-consciousness.

“I’m Liam,” the kid — Fitzgerald — says, either not realizing or not caring that he’s interrupting Mike’s pregame routine.

“I know,” Mike says.

“You’re Mike,” Fitzgerald says, providing himself the introduction Mike didn’t. “We might play on a line together, so I thought I’d introduce myself. So. Hi.”

“We probably won’t,” Mike says. “They’ll slot you in where Steinberg was. You’re way too fucking tiny for the checking line.”

“I’m not tiny,” Fitzgerald says, sounding offended. “I’m concentrated.”

“That what they’re calling it now?” Mike asks. The kid’s practically getting a crick in his neck trying to meet Mike’s eye.

“Yep,” Fitzgerald says. “You’ll see.”

They put Fitzgerald exactly where Mike said they would, but on an icing call he ends up playing a shift with the goon squad. He wins the face off, shakes off a hit that should have put a guy his size right on his ass, throws a hit of his own on a player almost the size of Mike. Nearly bounces off him, but the intent was there.

Fitzgerald’s breathless on the bench after that shift, cocky grin wiped off his face, hair plastered to his forehead under his helmet. Clearly struggling a little, but he made his point.

“Concentrated,” Fitzgerald repeats.

“Yeah, you’re still not goon squad material,” Mike says.

Fitzgerald frowns at him.

“That’s a fucking compliment, kid,” Mike says.

“I could be goon squad material,” Fitzgerald argues.

Typical rookie: of course he wants to be good at everything from the get-go. What Fitzgerald’s got is the kind of potential you don’t see in the guys mired on the fourth line, the kind of potential Mike’s never had in his life. What Mike does have is eight extra inches, a shit-ton more weight, the ability to throw that weight around. To throw a punch, to take one. It’s not the kind of thing to aspire to. No one grows up dreaming of being an enforcer.

Mike can’t help but grin at him, this pint-sized destroyer. Mike knows he was that young, once, but he doesn’t think he was ever that young. “Okay, kid,” Mike says, placating him, and unexpectedly, Fitzgerald grins right back.

Mike thinks, in hindsight, that might be where the trouble starts.

 

Mettiamo le cose in chiaro: Mike sapeva fin dall’inizio che sarebbe stata un’idea del cavolo. Non sa però se quella consapevolezza renda le cose migliori o peggiori.

Il ragazzo viene convocato dagli Oilers quando Steinberg si rompe il piede a metà stagione. Ed è davvero un ragazzo: diciotto anni, volto da bambino, più piccolo di tutti i giocatori della squadra, poco oltre il metro e settanta e chiaramente determinato a compensare quella mancanza. Si presenta a Mike prima della sua prima partita con la mano tesa e un sorriso compiaciuto emanando quel tipo speciale di sicurezza che tutti gli adolescenti del mondo sembrano avere: sfrontatezza mista a disagio.

«Sono Liam,» dice il ragazzo, Fitzgerald, senza rendersi conto, o forse senza preoccuparsi, di aver interrotto la routine pre-partita di Mike.

«Lo so,» risponde Mike.

«Tu sei Mike,» dice Fitzgerald procurandosi da solo la presentazione che Mike non gli ha concesso. «Potremmo giocare sulla stessa linea e così ho pensato di presentarmi. Perciò: piacere.»

«Ne dubito,» osserva Mike, «ti metteranno nel posto dove giocava Steinberg. Sei troppo piccolo per la linea di controllo.»

«Non sono piccolo,» ribatte Fitzgerald con un tono offeso, «sono compatto.»

«È così che si dice adesso?» chiede Mike mentre il ragazzo si sta facendo venire il torcicollo per cercare di guardarlo negli occhi.

«Okay,» risponde, «lo vedrai.»

Fitzgerald viene piazzato esattamente dove aveva predetto Mike, ma durante una liberazione vietata si ritrova a giocare un turno insieme al gruppo dei picchiatori. Riesce a vincere l’ingaggio, a ignorare un colpo che avrebbe dovuto mettere al tappeto un giocatore della sua taglia e a tirare una botta contro un giocatore grosso quasi quanto Mike. Finisce praticamente per rimbalzargli addosso, ma l’intenzione c’era tutta.

Dopo il turno, Fitzgerald si ritrova senza fiato sulla panchina, il sorriso compiaciuto cancellato dal viso e i capelli sotto il casco tutti appiccicati alla fronte. È ovvio che sta facendo fatica, ma ha messo le cose in chiaro.

«Compatto,» ripete.

«Sì, ma non sei comunque materiale da picchiatori,» precisa Mike.

Fitzgerald gli fa una smorfia. «Guarda che è un gran complimento, ragazzo,» precisa Mike.

«Potrei essere materiale da picchiatori,» insiste Fitzgerald.

Tipica recluta: ovviamente vuole essere bravo in tutto fin dall’inizio. Quello che Fitzgerald ha è il genere di potenziale che non si vede in quelli che giocano in quarta linea, il genere di potenziale che Mike non ha mai avuto in vita sua. Quello che ha Mike sono venti centimetri in più, un casino di chili in più, la capacità di far sentire quel peso in giro. Tirare un pugno, riceverne uno. Non è il tipo di cosa a cui aspirare. Nessuno cresce sognando di diventare un enforcer.

Mike non riesce a fare a meno di ridere davanti a quel gladiatore in miniatura. Sa di essere stato giovane come lui un tempo, ma sospetta di non essere mai stato così giovane . «Okay, ragazzo,» dice Mike per placarlo e, inaspettatamente, Fitzgerald ricambia il suo sorriso.

Mike pensa, a posteriori, che forse i suoi guai sono cominciati proprio lì.